Il
desiderio di riscoprire vecchie tradizioni, di valorizzare il nostro
patrimonio naturale e culturale, il bisogno di trovare una nuova
dimensione di vita quanto più in armonia con i ritmi della natura, ha
spinto alcuni di noi a dar vita al gruppo Erbas e Perdas.
Come
tutte le “vicende” umane eravamo e siamo ben coscienti di dover
trovare, lungo il percorso, momenti positivi e negativi. Un po’
dicendocelo e un po’ lasciando il pensiero non esplicitato, volevamo e
vogliamo affrontare le diverse vicissitudini quanto più in sintonia con
la natura e... con la nostra tradizione.
Recentemente
il nostro gruppo ha subito un furto e gravi atti vandalici nell’orto in
cui ci riuniamo. Le attestazioni di solidarietà e vicinanza che abbiamo
ricevuto forniscono l’energia necessaria alla nostra mente per
stimolare il corpo ad una reazione, ad una rinascita.
Giusto
per restare in tema sulla riscoperta delle nostre tradizioni, ci siamo
chiesti casa succedeva quando si subiva un’ingiustizia, un furto, un
danno…
Anticamente il
rispetto verso la natura e le opere create dall’uomo era assoluto. Non
si poteva assolutamente violare l’equilibrio di pace e serenità che
l’uomo (quale elemento della natura) aveva intorno a se. Infatti, il
bene di un singolo voleva dire il bene di tutta la comunità. Se una
persona subiva un furto, un danneggiamento o altro danno, questo stava
male e con lui tutta la comunità a cui apparteneva. Si rendeva
necessario ristabilire l’equilibrio venuto a mancare e questo
significava togliere risorse a tutta la comunità. Pertanto, chi causava
un danno o rubava, veniva punito severamente da tutta la comunità.
I
casi contemplati erano tre:
1) il colpevole era noto.
2) Si dubitava di
una persona ma non si era sicuri della sua colpevolezza.
3) Il
colpevole era completamente sconosciuto.
Nel
primo caso, quando il colpevole era noto, la pena veniva eseguita
velocemente e consisteva nell’amputazione della mano con la quale si
riteneva avesse compiuto il male.
Il
secondo caso era più complesso in quanto, avendo dei sospetti ma non la
certezza che la persona sospettata fosse veramente colpevole, si
rendeva necessario a procedere ad un rito che prendeva il nome di
Ordalia. Gli elementi per procedere a questo rito erano due: l’acqua e
le erbe. Il rito si svolgeva presso una fonte e consisteva nel far
giurare il sospettato di non essere lui il colpevole e di non sapere chi
fosse. Successivamente gli si immergeva la testa nell’acqua nella quale
erano state fatte macerare delle erbe in quantità variabili in base
agli indizi che si avevano sul presunto colpevole. Se aveva mentito
diventava cieco, se era a conoscenza dei fatti e non aveva rivelato il
nome del colpevole avrebbe avuto danni alla vista, se era innocente
avrebbe avuto una vista migliore.
Anche
il terzo caso aveva un rito complesso e con conseguenze che ricadevano
sul colpevole e sui suoi familiari. I familiari subivano anche loro la
punizione in quanto ritenuti complici e comunque dannosi per il
benessere della comunità. Si chiamava "Su Frastimmu". Vi erano diversi
modi per eseguirlo. Uno di questi consisteva nel maledire la persona che
aveva rubato e fatto danni augurando a lui e ai suoi familiari ogni
male immaginabile. Insieme a su frastimu, venivano sparse delle erbe
presso le abitazioni delle persone delle quali si aveva anche un minimo
sospetto e, se erano innocenti le erbe avrebbero annullato su frastimu e
trasmesso loro gli effetti benefici. La persona colpevole e i suoi
familiari avrebbero ricevuto tutti gli effetti negativi de su frastimu e
delle erbe.
Queste
ritualità venivano eseguite da persone, solitamente donne dotate di
esperienza e intuito (oggi si direbbe lettura del non verbale) che
durante l’esecuzione del rito riuscivano a percepire, leggere il non
verbale e individuare il colpevole. In questo modo “Il Caso”, “La
Divinità” provvedeva a punire l’autore del misfatto e i suoi familiari
che comunque erano ritenuti complici in quanto non potevano non sapere.
Una volta individuato e punito il colpevole la comunità si riuniva a
festeggiare la riacquistata serenità e in segno di riconoscimento verso
la Grande Madre venivano piantumati degli alberi.
Gianni Sedda